La recente sentenza della Corte di Cassazione (6611/2023) conferma la decisione del Consiglio di Stato (2135/2022) convalidando in tal modo il Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) con valenza di piano paesaggistico, manipolato dai concessionari di cava. Secondo la Suprema Corte, nelle aree contigue di cava interne al Parco “naturale” delle Alpi Apuane, in spregio all’art. 9 della Costituzione e ai Codici dell’Ambiente e dei Beni culturali e del paesaggio è legittimo ampliare le cave esistenti e aprire cave chiuse dal 1980. La legge istitutiva del Parco, LR 65/97 (dunque antecedente ai Codici richiamati e all’istituzione dei siti rete Natura 2000), se prevedeva la presenza delle cave, non ne contemplava né l’ampliamento né la crescita indiscriminata (oggi sono più di 100).

Le associazioni Amici della Terra, La Pietra vivente, Mountain Wilderness, Verdi Ambiente e Società

chiedono SOSTEGNO:

  • per una battaglia di civiltà a difesa delle APUANE
  • per affermare uno stato di diritto che operi all’interno della Costituzione
  • per affrontare le spese legali e ricorrere alla Comunità Europea
  • per andare oltre intimidazioni e bavagli
  • per fermare l’inquinamento e il depauperamento delle sorgenti
  • per interrompere la distruzione incessante delle Apuane

Nel 2002 il piano estrattivo, redatto dal Parco e non approvato dalla politica, aveva previsto la chiusura di alcuni bacini critici e il contingentamento di quelli con marmo di cattiva qualità.

La Cassazione oggi afferma che “la difesa dei valori naturalistici non è un valore finale e assoluto”, contrariamente a quanto afferma l’art. 9 della Costituzione, “perché il fine del parco era/è migliorare le condizioni di vita delle comunità locali e l’attività estrattiva è tradizionale, e da secoli fonte di ricchezza per le popolazioni”.

Quale ricchezza per le popolazioni su cui ricade il costo dei danni causati dalle cave, con poche centinaia di addetti a fronte di milioni di utili per pochi privati? L’acqua inquinata, le sorgenti distrutte, le vette e i crinali tagliati, le strade devastate, le polveri e i rumori, la flora minacciata e danneggiata, la fauna impoverita. Eppure, secondo la Corte, la polvere di marmo (marmettola), che inquina e depaupera le sorgenti d’acqua, non può essere “ragione di doglianza, dal momento che il PIT fa espresso riferimento al valore della preservazione dall’inquinamento dei corsi d’acqua”.

Quale ricchezza può esservi per le comunità se il comune di Minucciano, nonostante abbia ottenuto deroghe per scavare extra legem e finanziamenti per circa 15 milioni di euro indirizzati totalmente al settore lapideo, vede diminuire la popolazione del 27% negli ultimi vent’anni?

La Regione Toscana ha permesso ai concessionari di riscrivere il PIT a proprio favore, stravolgendone l’indirizzo, concepito ed elaborato dai tecnici dell’ex Assessore all’urbanistica Anna Marson (2010-2015), che stabiliva la chiusura, al termine del periodo autorizzato, di una trentina di cave che già operavano in aperta illegittimità e la riapertura solo delle cave chiuse da 10 anni e pertanto non rinaturalizzate.

La medesima Amministrazione, che nel 2016 ha consentito di modificare i confini delle aree contigue di cava in violazione alla normativa regionale che ne consente la modifica solo con piano delle attività estrattive, oggi sostiene la carenza di interesse delle associazioni ambientaliste ricorrenti a tutelare clima, biodiversità, acqua, ambiente, paesaggio e salute.

Le Alpi Apuane sono un patrimonio universale asservito al guadagno di pochi concessionari che nei decenni le hanno tragicamente ed irreversibilmente abusate, in totale spregio non solo dell’art. 9 ma anche dell’art. 41 della Costituzione.